Tuesday, May 3, 2011

Sparizione dello spettacolo

MARIO PERNIOLA - Jean Baudrillard

Testo pubblicato in "Il Manifesto", 7 marzo 2007, col titolo "Potente e fatale la strategia di Jean Baudrillard"

A ripercorrere l'opera di Jean Baudrillard, all'indomani della sua morte, appare subito evidente come essa si divida in due periodi, il primo dei quali è segnato da un' insistita riflessione sulle categorie dello scambio simbolico, dell'iperrealismo e del simulacro, estendendosi fino ai primi anni Ottanta, mentre con il volume Le strategie fatali (1983) una nuova fase si apre, più paradossale e più suscettibile dei molti fraintendimenti in cui è talvolta incorsa. È dal saggio di Marcel Mauss sul dono nelle società primarie e dalle considerazioni di Georges Bataille sul potlàc - quella forma arcaica di scambio basata sull'obbligo di una restituzione più cospicua da parte di chi riceve il dono - che Baudrillard prende il suo concetto di scambio simbolico.
Oltre ai classici concetti marxisti di valore d'uso e di valore di scambio, il filosofo francese introduce un valore-segno, connesso con la società dei consumi e la universale semiotizzazione della vita, e infine un valore di scambio simbolico, inteso piuttosto come un non-valore perché, nel suo essere alternativo ai tre valori precedenti, implica la fine dell'economia. Già fuori dal marxismo, dunque, Baudrillard assegna alla propria teoria una dimensione utopica. Quanto alla nozione di iperrealismo, essa è nel suo pensiero una estensione all'ambito economico-sociale della parola nata in ambito artistico: come quel tipo di pittura forniva una copia del tutto realistica della realtà che intendeva rappresentare, così la società si trova a riprodurre con una rassomiglianza esasperata l'economia politica, quella economia che ha perduto, nella universale emancipazione del segno, ogni dimensione strutturale. La terza parola chiave, simulacro, porta con sé, nell'impiego che ne fa Baudrillard, l'eco di alcune considerazioni nietzscheane sul venir meno di una distinzione tra mondo vero e mondo apparente, e riprende anche il pensiero di Klossowski, di Foucault, di Deleuze e di Lyotard, applicandosi all'analisi dei fenomeni politici e sociali, in cui la realtà sembra dissolversi in una spirale infinita di segni e di rimandi, privi di referente. Derivano da qui le riflessioni sul terrorismo, che per un verso oppone un altro ordine a quello vigente, costituendo una specie di potlàc suicida, per un altro verso è un atto iperreale che spaccia per esistente una rivoluzione inattuata, e per un terzo verso partecipa del simulacro, che è estraneo all'ordine del senso e di una rappresentazione solidale con gli strumenti di comunicazione di massa, mentre dissolve qualsiasi prospettiva politica credibile.
Nella seconda fase, aperta dall'idea di strategia fatale, è centrale la parola «illusione», che va intesa sia in senso metafisico-cognitivo, ossia come il contrario della realtà e della verità, sia in senso estetico-psicologico, ossia come il contrario del disincanto e della delusione. Se si privilegia la prima accezione, il pensiero di Baudrillard acquista una coloritura scettico-nichilistica non lontana da alcune tendenze della filosofia italiana contemporanea - per esempio il «pensiero debole» di cui condivide il radicale rifiuto della metafisica e dell'etica, e quel filone della cultura filosofica caratterizzata dal catastrofismo vitalistico, che in Italia corre da Pirandello a Giorgio Colli e a Giorgio Agamben.
Ma sono paralleli, in realtà, ingannevoli: perché ciò che davvero interessa Baudrillard non è il problema della conoscenza, né l'enfasi vitalistica che pervade i filosofi italiani del sublime. Per lui, infatti, l'illusione non significa sogno, inganno, miraggio, e nemmeno utopia, bensì l'ingresso in una dimensione non usuale, non quotidiana, non statica. Ed è a partire da questo momento che ha inizio una rivalutazione di ciò che chiamiamo l'arte, il teatro, il linguaggio: perché lì si è conservato qualcosa di quella violenza al reale che si attua nella cerimonia iniziatica e nel rito. È in quell'ambito che si conserva una padronanza delle apparizioni e delle sparizioni, e in particolare la padronanza sacrificale dell'eclissi del reale. Siamo quindi molto lontani dal gioco inteso come ricreazione, loisir o distrazione; l'idea che Baudrillard ha dell'arte come illusione è semmai prossima alla concezione antropologica della magia, dove la potenza dell'illusione riesce a irrompere nel reale e in qualche modo a prenderne il posto, senza però identificarsi con esso. Un passaggio fondamentale, questo, per capire una tra le idee più oscure della riflessione di Baudrillard, quella di strategia fatale. Non è un progetto o un piano di azione elaborato da un individuo, la strategia così come la pensa Baudrillard, bensì una concatenazione di elementi esterni alla volontà soggettiva: dunque è un sinonimo di regola e di rituale. Ma questa concatenazione non è né necessaria, né casuale, né teleologica, né fortuita, è un rito senza mito, un significante senza significato, tuttavia può diventare fatale, aggettivo cui Baudrillard consegna il senso di legato al male, funesto.
Tutte le cose sono chiamate ad incontrarsi - secondo il filosofo francese - solo il caso fa sì che questo appuntamento non si realizzi; al contrario, dunque, di quanto è proprio all'idea di "hasard objectif" dei Surrealisti, che in un mondo retto dalla casualità cercavano di attribuirle un significato e un valore reconditi indipendente dalle intenzioni e dalle volontà soggettive, scoprendo una trama occulta: una specie di astuzia della ragione (List der Vernunft) hegeliana. Sebbene Baudrillard dia invece per scontato che le cose si incontrino, non attribuisce a questo incontro alcun significato, perché non di una concatenazione provvidenziale si tratta, ma di un rituale, che tuttavia talvolta manca l'appuntamento e si trasforma in rituale mancato. La distanza estetica su cui si reggeva il rituale è però annullata, in occidente, dalla cancellazione della scena e dall'annientamento delle mediazioni, di qualsiasi tipo esse siano (artistiche, politiche, sessuali). In questa direzione l'analisi di Baudrillard si distanzia da quella di Guy Debord: il mondo attuale, infatti, non sarebbe caratterizzato dal trionfo dello spettacolo, ma dalla sua sparizione. La scena è stata sostituita dall'osceno, il posto dell'illusione è stato preso da qualcosa che pretende di fornire un effetto realistico maggiore dell'esperienza della realtà (ed è perciò iperreale), ogni evento è anticipato e annullato dalla pubblicità e dai sondaggi.Dunque l'azione diventa impossibile e ad essa succede la comunicazione, che riesce appunto a fare precipitare ogni cosa nell'insignificante, nell'inessenziale, nel derisorio. Nel mondo della comunicazione, nulla più accade: tutto è senza conseguenze, perché senza premesse, suscettibile di essere interpretato in tutti i modi, tutti ugualmente irrilevanti e privi di effetti.

La Luna




Fabio Mauri, entro uno spazio chiuso cui si accedeva da un boccaporto ovoidale, a mo' di astronave, cosparse il fondo di perlinato di polistirolo, tra cui i piedi dei visitatori affondavano, a immagine del suolo lunare, dove ci si poteva anche sedere o distendersi, con il polistirolo che si attaccava ai vestiti. Il titolo era 'Luna', l'allunaggio avvenne poco dopo". Così Maurizio Calvesi descrive l'installazione nell'introduzione al catalogo della mostra 'Roma anni '60', all'interno della quale l'installazione è stata nuovamente presentata. Il ciclo di azioni e installazioni 'Teatro delle Mostre' si tenne a Roma presso la Galleria La Tartaruga dal 6 al 31 maggio del 1968, e fu presentato dallo stesso Calvesi, il quale per l'occasione scriveva, sempre a proposito di 'Luna': (...) una dimensione più che inconscia, quasi onirica, con denominatore sociale, aveva anche l'operazione di Fabio Mauri... la luce entrando da due aperture, e specchiandosi nel bianco, forniva gli estremi di una nozione abituale, il chiaro di luna; invece il polistirolo, su cui si doveva camminare, con la sua consistenza imprevedibile, agiva fisicamente, come sorpresa, e nella sorpresa consentiva di verificare la nozione puramente mentale e ipotetica della polvere lunare". Gli artisti erano stati invitati da Plinio de Martiis, direttore della galleria, ad esporre ciascuno per un giorno solo, in modo da dover affrontare di continuo montaggi e smontaggi di allestimenti ambientali talvolta particolarmente complessi. Caratteristica del 'Teatro delle Mostre', per la quale il ciclo si contraddistingueva da fenomeni apparentemente analoghi come lo happening, la performance o l'arte-spettacolo, è stato l'aver introdotto per primi il teatro interpretato dagli artisti-attori all'interno di una galleria, allargando in tal modo l'esperienza estetica dei singoli alla società intera, rappresentata dai visitatori della rassegna. Ancora a proposito di 'Luna', una delle opere più note e pubblicate dell'artista, così scrive Tommaso Trini in 'Domus' nel 1968 "...è stato un invito a ridurre l'idea del cosmo... a un gioioso e in qualche modo magico modello sperimentale". M.C.

Monday, May 2, 2011

Christoph Schlingensief


Christoph Schlingensief
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Christoph Schlingensief
Born Christoph Maria Schlingensief
24 October 1960(1960-10-24)
Oberhausen, Germany
Died 21 August 2010(2010-08-21) (aged 49)
Berlin, Germany
Occupation Director

Christoph Maria Schlingensief (24 October 1960, Oberhausen – 21 August 2010, Berlin[1]) was a German film and theatre director, actor, artist, and author. Initially working as an independent underground filmmaker, Schlingensief later began staging productions for renowned theatres and festivals, which often were accompanied by public controversies. In the final years before his death, he also worked for opera houses, and established himself as an artist.

Career

As a young man he organized art events in the cellar of his parents house, and local artists such as Helge Schneider or Theo Jörgensmann performed in his early short films.

Schlingensief considered himself a 'provocatively thoughtful' artist. He created numerous controversial and provocative theatre pieces as well as films, his former mentor being filmmaker and media artist Werner Nekes. Already his debut feature film, the surreal, absurd experimental Tunguska - Die Kisten sind da! ("Tunguska - The boxes have arrived!", 1984) was well-received by critics.

One of his main works is the so-called 'Germany Trilogy' (Deutschlandtrilogie), which deals with three turning points in 20th century German history: the first movie Hundert Jahre Adolf Hitler ("A Hundred Years of Adolf Hitler", 1989) covers the last hours of Adolf Hitler, the second Das deutsche Kettensägenmassaker ("The German Chainsaw-Massacre", 1990), depicts the German reunification of 1990 and shows a group of East-Germans who cross the border to visit West-Germany and get slaughtered by a psychopathic West German family with chainsaws, and the third Terror 2000 (1992) focuses on xenophobic violence after the reunification process.

In 2004, at the invitation of Wolfgang and Katharina Wagner and to rave reviews, he staged Richard Wagner's Parsifal for the Bayreuth Festival. This production, in the first years conducted by Pierre Boulez, was revived in 2005 and 2006, but unlike other Bayreuth Festival stagings it was not filmed.

One of Schlingensief's central tactics was to call politicians' bluff in an attempt to reveal the inanities of their "responsible" discourse, a tactic he called "playing something through to its end". This strategy was most notable in his work Please Love Austria (alternately named Foreigners out! Schlingensiefs Container) at the time of the FPO and OVP coalition in Austria, a work which attracted international support, a media frenzy and countless debates about art practice.

Schlingensief also directed a version of Hamlet, subtitled, This is your Family, Nazi-line, which premiered in Switzerland, the so-called neutral territory equated with the Denmark of the opening line in Shakespeare's play where there is something foul afoot. Events around the piece questioned and attacked Switzerland's 'neutrality' in the face of growing racism and extreme right wing movements. It also involved former members of Neo Nazi groups, allowing them to play out their own weaknesses in the terms of the characters in the drama, and led to him founding a centre for former members to "de-brief".

Schlingensief's work covered a variety of media, including installation and the ubiquitous 'talk show' and has in many cases led to audience members leaving the theatre space with Schlingensief and his colleagues to take part in events such as Passion Impossible, Wake Up Call for Germany 1997 or Chance 2000, Vote for Yourself in which he formed his own party where anyone could become a candidate themselves in the run up to the federal election of 1998 in Germany. With his demands for people to "prove they exist" in an age of total TV coverage and "act, act, act" in the sense of becoming active not 'actors', his work could be considered a direct legacy of Bertolt Brecht, as it demands involvement as opposed to passivity and merely looking on as is the case in traditional text-based theatre. In an age of extreme media fatigue, his was a fresh voice albeit and undisputedly containing echoes of the past, often humorous and subversive yet never cynical. His influences included Joseph Beuys and his idea of social sculpture, and artists Allan Kaprow and Dieter Roth.

In his latest productions, such as the fluxus oratorio Church of Fear and the ready made opera Mea culpa, he staged his own cancer experience, and related it to his first 'stage experience' as a young altar boy. In this time he started his most ambitious project: building an opera house in the heart of the African savannah, in Burkina Faso. In 2010 he was appointed to design the German pavilion at the Venice Biennale 2011.

Death
Wikinews has related news: German director Christoph Schlingensief dies at age 49

Schlingensief died of lung cancer on August 21, 2010 in Berlin, Germany at age 49.[2] In a note to his death in the Süddeutsche Zeitung, Literature Nobel Prize Laureate Elfriede Jelinek wrote: "Schlingensief was one of the greatest artists who ever lived. I always thought one like him can not die. It is as if life itself would be dead. He was not really a stage director (in spite of Bayreuth and Parsifal), he was everything: he was the artist as such. He has coined a new genre that has been removed from each classification. There will be nobody like him."[3]