Friday, March 18, 2011

Francesco Ciavaglioli




Francesco Ciavaglioli is an artist and one of the founders/Member of COMBO (Perugia)

My Reply to Francesco Ciavaglioli

Pasquino
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Coordinate: 41°53′52″N 12°28′20″E / 41.897749°N 12.472301°E / 41.897749; 12.472301
La statua di Pasquino.

Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo.

Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Erano le cosiddette "pasquinate", dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere e l'avversione alla corruzione ed all'arroganza dei suoi rappresentanti.
Indice
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* 1 Storia
* 2 Restauro
* 3 Pasquinate
* 4 Nome
* 5 Curiosità
* 6 Bibliografia
* 7 Voci correlate
* 8 Note
* 9 Altri progetti
* 10 Collegamenti esterni

[modifica] Storia

La statua è in realtà un frammento di un'opera in stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C., danneggiata nel volto e mutilata degli arti, rappresentante forse un guerriero greco. Si è anche sostenuto che si tratti del frammento di un gruppo dello scultore Antigonos raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, del quale esiste una copia in marmo conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze, ma l'attribuzione è contestata. Precedenti attribuzioni ritenevano che raffigurasse Aiace con il corpo di Achille oppure Ercole in lotta con i Centauri.

Fu ritrovata nel 1501 durante gli scavi per la pavimentazione stradale e la ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi), proprio nella piazza dove oggi ancora si trova (allora detta piazza di Parione ed oggi piazza di Pasquino). La ristrutturazione, di cui si occupava anche il Bramante, veniva eseguita per conto dell'influente cardinale Oliviero Carafa, in seguito divenuto noto per la campagna di moralizzazione dell'arte; il prelato, che si sarebbe stabilito nel prestigioso palazzo, insistette per salvare l'opera, da molti ritenuta invece di scarso valore, e la fece sistemare nell'angolo in cui ancora si trova, applicandovi lo stemma dei Carafa ed un cartiglio celebrativo. Si riteneva che fosse stata impiegata per l'ornamento dello Stadio di Domiziano, oggi coperto dalla piazza.

Pasquino era in breve tempo divenuto fonte di preoccupazione, e parallelamente di irritazione, per i potenti presi di mira dalle pasquinate, primi fra tutti i papi. I veleni ampiamente profusi gli furono ricambiati, di gran cuore. Diversi furono i tentativi di eliminare la statua e fu il forestiero Adriano VI (ultimo papa "straniero" prima di Giovanni Paolo II), durante il suo breve e controverso pontificato (1522-1523), che tentò di disfarsene, ordinando di gettarla nel Tevere. Fu distolto quasi in extremis dagli smaliziati cardinali della curia, che intravidero il pericolo e la possibile portata di un simile "attacco" alla congenita inclinazione alla satira del popolo romano. Ma anche Sisto V (1585-1590) e Clemente VIII (1592-1605) tentarono invano di eliminare la scomoda statua.

Quando altri, successivamente, lo fecero vigilare notte e giorno da guardie, le pasquinate apparvero infatti ancora più numerose ai piedi di altre statue: l'idea era stata di Benedetto XIII, che emanò anche un editto che garantiva la pena di morte, la confisca e l'infamia a chi si fosse reso colpevole di pasquinate. Già nel 1566, però, sotto Pio V, un tal Niccolò Franco era stato accusato di essere l'autore delle pasquinate e per questo condannato alla forca. Le pasquinate però non tacciono, e ai versi propagandistici si sostituiscono invettive moraleggianti, soprattutto nei confronti di un dilagante nepotismo e di una certa "prostituzione di lusso".

Verso dopo verso, Pasquino era di fatto asceso ad un rango di specialissimo antagonista della figura papale, simboleggiando il popolo di Roma che punteggiava coi suoi commenti gli eccessi di un sistema col quale conviveva con sorniona sufficienza. Pasquino segnalava che, per la sua particolare storia, Roma sapeva valutare anche figure che assommavano in sé il massimo potere religioso ed il massimo potere di governo, riuscendo a scorgerne le eventuali umane modestie, a rimarcarne velleità e malefatte. Come tale, era fisiologicamente un punctum dolens dei vescovi di Roma, ma pure come tale la sua "produzione" si estinse con la fine del potere temporale, con la breccia di Porta Pia, che metteva il popolo romano di fronte a nuovi tipi di sovrano, a nuovi tipi di stato. Si è detto che Pasquino sia stato "distratto" dalla contemporanea messa in circolazione dei sonetti del Belli, che col suo spirito mostravano più di qualche apparentamento e che nel medesimo senso proseguivano la sua opera; in ogni caso la statua tacque, priva del suo antico bersaglio, e fogli appesi non se ne videro più. Tornarono solo saltuariamente. Nel 1938, in occasione dei preparativi per la visita di Hitler a Roma, Pasquino riemerse dal lunghissimo silenzio per notare la vuota pomposità degli allestimenti scenografici, che avevano messo la città sottosopra per settimane:

Povera Roma mia de travertino
te sei vestita tutta de cartone
pe' fatte rimira' da 'n imbianchino![1]

[modifica] Restauro

Fortemente danneggiata dallo smog e dall'incuria, la statua di Pasquino è stata restaurata alla fine del 2009, per essere inaugurata, assieme ad una nuova recinzione con colonnette di travertino, il 10 marzo 2010.[2][3]
[modifica] Pasquinate
Alcune pasquinate moderne.

Le cosiddette pasquinate erano dei cartelli e dei manifesti satirici che durante la notte venivano preferibilmente appesi al collo di alcune statue (fra cui Pasquino, da cui il nome) posizionate in luoghi frequentati della città, in modo che al mattino successivo potessero essere visti e letti da chiunque, prima che la polizia dell'epoca li asportasse. Le pasquinate colpirono molti personaggi, la maggior parte dei quali noti per aver preso parte all'esercizio del potere temporale del papato. Le pasquinate furono numerosissime ed esposte a distanza di brevi periodi di tempo. Clemente VII de' Medici, ad esempio, morì dopo una lunga malattia; su Pasquino apparve conseguentemente un ritratto del suo medico, che forse era giudicato non esente da responsabilità circa l'esito delle sue stesse cure, ma tenuto conto delle qualità morali del suo paziente fu indicato come: ecce qui tollit peccata mundi (ecco colui che toglie i peccati del mondo).

Le pasquinate non erano soltanto espressione di un malcontento popolare: in molti casi quegli stessi rappresentanti del potere che erano normalmente, almeno come categoria, oggetto di lazzi e frecciate, le usarono a fini propagandistici contro avversari scomodi, magari sfruttando l'arte poetica ed ironica di letterati che si prestavano al gioco (probabilmente opportunamente ricompensati), come ad esempio Giambattista Marino, Pietro Aretino ed altri. E l'occasione più ghiotta per spargere maldicenze contro concorrenti scomodi nel tentativo di ottenere il favore, almeno popolare, era l'elezione di un nuovo pontefice, che diventava un vero campo di battaglia di una campagna elettorale che si combatteva a colpi di invettive propagandistiche. Non si trattava, in queste situazioni, della classica opposizione al potere, ma solo di favorire qualcuno per la scalata a quel potere.

Nel XVII secolo le pasquinate, come genere letterario, incontrarono una certa fortuna anche lontano da Roma, soprattutto a Venezia, il cui portavoce fu il Gobbo di Rialto e, in misura minore, a Firenze, con il celebre porcellino della Loggia del Mercato Nuovo.
[modifica] Nome

L'origine del nome è avvolta nella leggenda, di cui esistono diverse versioni. Secondo alcuni Pasquino sarebbe stato un personaggio del rione noto per i suoi versi satirici: forse un barbiere, un fabbro, un sarto o un calzolaio. Secondo Teofilo Folengo mastro Pasquino sarebbe stato un ristoratore che conduceva il suo esercizio nella piazzetta. Un'ipotesi recente sostiene invece che fosse il nome di un docente di grammatica latina di una vicina scuola, i cui studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche: sarebbero stati questi a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. Vi è anche un'altra versione che vorrebbe collegare il nome della statua a quello del protagonista di una novella del Boccaccio (Decamerone, IV, 7) morto per avvelenamento da salvia, erba nota invece per le sue qualità sanifiche: il nome quindi sarebbe stato ad indicare chi viene danneggiato dalle cose che si spacciano per buone (come poteva essere, in quel contesto, il potere papale).
[modifica] Curiosità

* Nel cinema, uno dei tanti Pasquino è stato interpretato da Nino Manfredi nel film Nell'anno del Signore, di cui è il protagonista.
* All'interno dell'opera popolare Tosca - Amore disperato di Lucio Dalla fa un cammeo anche la statua di Pasquino. In una coreografia, i ballerini girano attorno alla statua attaccandovi, di nascosto dalle guardie, i fogli con le loro pasquinate.
* Un film tv del 2003, per la regia di Luigi Magni, è "La notte di Pasquino", interpretato nuovamente da Nino Manfredi.

Wednesday, March 16, 2011

Chiara Fumai



"IV
SECRETO PROVATO PER DVE AMICI CHE POSSANO PARLARSI A DISTANZA

Questi due amici si cavino ogn'uno sangue dalla vena comune e procedendo come si disse da principio, fara' ciascheduno la sua magnete, avertendo che la massa del sangue non si rompa quando si lava, cosi' rimarra' la magneta intiera come una pillola bianca, e secca, diventera' come una picciola cartillagine.
Istante queste cartilagini se le permuteranno: cioe' l'uno pigliara' quella del'altro e l'istesso facendo delle lancette con le quali si cavano il sangue.
E trovandosi allontanati, quello che vorra' dire qualche cosa al compagno dara' tre o quattro punture nella cartillagine di lui, ma punture leggiere che non la passino, che' l'amico in qualsivoglia parteche sia si sentira' pungersi nel luogho dove si cavo' il sangue, all'hora rispondera' con altretante punture per dar segno che sia pronto a sentire.

S'averta che ogn'uno di loro dovera' haver seco una figura alfabetica con li numeri sopra le lettere, per conoscere dalle punture le lettere che dovono unirsi, per capire il senzo facendo posa a quel numero, a lettera che ha da notarsi, come per essempio volendo dire addio, si dara' una botta che dinota A e si formera' 1; appresso 4 che dinota D; e si formera' appresso 9 che dinota J; e si formera' e cosi' dell'altre; l'istesso fara' chi risponde: il secreto e' provato.

Nota che le cartillagini devono tenersi ben chiuse in due scatolini et in luogho dove non si senta ne' soverchio freddo ne' soverchio caldo, ne' patiscano lesione alcuna, perche' ogni male di esso si comunicherebbe a detti amici, cioe' a quello di loro la cartillagine del quale fosse mal conservata, e quando si Opera non si cavino dalli scatolini."

(Anonimo Umbro, XVI secolo)


Chiara Fumai is an artist that hates the audience


www.chiarafumai.net

My reply to Chiara Fumai


Tuesday, March 15, 2011

Stefania Scarpini


SINAPSI

My reply to Stefania

My reply is another BLOG...of a strange group of People called OuUnPo : Ouvroir d'Univers Potentielle.
I am also part of the group, even if it is difficult to translate what OuUnPo is about.
Surely we are connected to 'the Brain'...we travel, we are many, we know and we don't know.
Have a look at the blog.

http://visionforumouunpo.blogspot.com/

Monday, March 14, 2011

Pier Luigi Tazzi


Pier Luigi sent me this picture:

è una foto scattata da me a al-Gīzah nel pomeriggio del 22 dicembre del 2009. ed è l'unica immagine felice riportata da un viaggio disastroso in un paese che ho odiato profondamente, e che in questi giorni sembra essersi risvegliato dall'abominevole torpore che lo segnava fino a ieri.

"I took this picture in al-Gīzah, in the afternoon of 22nd of december 2009. This is the only happy image from a terrible travel in a country that I deeply hated, a country that, in these days, seems to be reawekened from the abominable torpor, which had marked it till yesterday."


Pier Luigi Tazzi is art critic and curator

My reply to Pier Luigi




I haven't never been in Egypt.
We all dream about this country when we are in elementary school.
Sometime we thing too much about the stones.

Now not only the stones but also the people will be in a history book.

Thursday, March 10, 2011

Silver Stammer at COMBO



Una conversazione in skype, tra Giulia Paciello e Jacopo Miliani


giulia paciello 11:01

ciao Jacopo!
jacopo 11:02
ciao giulia...5 minuti e sono da te
giulia paciello 11:02
ok
11:02
fammi un cenno tu
11:02

giulia paciello 11:07
ciao
11:08
allora senti, io ho pensato di farci una chiaccherata un pò informale
11:09
di modo da mantenere un livello di conversazione non troppo impegnativo
jacopo 11:09
va benissimo
giulia paciello 11:09
devi sapere che il pubblico perugino è un pò restio all'aret contemporanea
11:09

jacopo 11:09
direi che il pubblico in generale è restio all'arte contemporanea, ma è anche questo il suo bello
giulia paciello 11:10
si
11:10
hai ragione
11:10
allora cominciamo
jacopo 11:10
ready
giulia paciello 11:10
In questi giorni immagino starai ultimando il materiale per la mostra da COMBO. Mi racconti un pò come si sviluppa il progetto?
jacopo 11:11
non si tratta di una mostra
11:11
è in realtà una presentazione del mio blog
giulia paciello 11:11
Quando hai cominciato a pensare e a lavorare al BLOG Silver Stammer?
jacopo 11:12
circa 2 anni fa
11:12
in realtà non c'è stato molto un pensare...ho semplicemente creato un blog
11:13
l'idea era quella di fare un block notes digitale dove finiva tutto il materiale che costantemente osservo sul web
giulia paciello 11:14
leggevo oggi un post su facebook di un artista francese che diceva che il quando gli chiedono a cosa si ispirasse nel suo lavoro risponde sempre: è il web che mi ispira
jacopo 11:14
per me non è cosi
11:14
il web è uno strumento...non è l'origine
11:15
anzi trovo che questo strumento sia in grado di velocizzare e rendere la conoscenza di alcuni argomenti più diffusa
11:15
ma poi c'è un grosso rischio di superficialità
giulia paciello 11:15
quindi hai già in mente quello che ti interessa...usi il blog come si usava la vecchia enciclopedia?
jacopo 11:15
si e no
giulia paciello 11:15
Da quello che ho potuto vedere esplorando SILVER STAMMER, mi sembra di aver capito che il materiale da te pubblicato si relaziona al tuo lavoro in modo aleatorio. Si tratta di suggestioni più che di materiale di ricerca vero e proprio.
11:16
Si va dall'arte alla moda, dal cinema al teatro, da saggi a brevi commenti, a volte ludici, ma senza una tematica imperante? O sbaglio?
jacopo 11:19
si esatto...il mio lavoro è diverso dal blog. Uso internet non proprio come un'enciclopedia, perchè sono diversissimi, in realtà faccio delle ricerche che poi mi portano a tante piccole altre suggestioni e cosi via, un pò come facciamo tutti. Solo non credo che questo sia vera conoscenza è più informazione, ecco perchè parlo di block notes o appunti. Questi appunti possono essere più o meno interessanti per me o per altri, sono schemi aperti. Per il lavoro invece si tratta di un processo diverso, in pirmo cerco di partire da delle urgenze di significato.
11:20
direi che il titolo ti dice molto ...sono baluzie d'argento
11:20
balbuzie scusa
giulia paciello 11:20
a proposito del titolo
jacopo 11:21
molto pretenzioso...come titolo lo sò
giulia paciello 11:21
sono curiosa?
11:21
è una tua idea o l'hai estrapolato da qualche testo in particolare?
jacopo 11:21
no...è mio!
giulia paciello 11:21
bello
11:21
!
jacopo 11:21
grazie
giulia paciello 11:22
Ma quindi se non ci fosse stato il blog probabilmente avresti avuto una moleskine in cui incollavi ritagli di giornali o credi che il confronto sia importante?
jacopo 11:22
sai quante moleskine ho provato a tenere, nessuna ha realmente funzionato!
giulia paciello 11:23
Pensandoci... tanti artisti usano oggi il web per veicolare il loro lavoro e per raggiungere una maggiore visibilità. Ma in Silver Stammer raramente sono pubblicate immagini di tue opere o di tuoi testi.
jacopo 11:24
No in Silver Stammer non è mai pubblicata un mio lavoro
11:25
se trovi un mio lavoro, fammi sapere che elimino subito il post!
giulia paciello 11:25
no mi sono sbagliata, era un testo di una conferenza
11:25
non un lavoro
11:25
però sono pubblicate le copertine di Empty Restaurant.
11:25
Quelle fanzine non le vedi come un tuo lavoro?

jacopo 11:27
per le Fanzine non si tratta di un mio lavoro, ma dello stesso processo del Blog applicato al lavoro di altri artisti...nella Fanzine chiedo a un artista, mio amico, di disegnarmi la copertina e di mandarmi tutto quello che ritiene fonte di ispirazione, appunti, citazioni, ma l'unica regola è proprio non inviarmi riproduzioni del lavoro...insomma il ristorante è vuoto!
11:28
Alla fine questa regola del blog-fanzine
11:28
vuole non definire cosa è 'il lavoro' e 'il non lavoro'...cosa che spesso gli artisti fanno
giulia paciello 11:29
L'idea di “ricerca-non-opera” in questo momento in cui spesso è l'archivio stesso a divenire opera e feticcio di per se, è un'affermazione forte rispetto al tuo modo di fare arte.
jacopo 11:29
Prima di tutto per me è importante dire che non si tratta di un archivio
giulia paciello 11:30
e una fase della tua ricerca?
11:30
è scusa
jacopo 11:31
non c'è una catalogazione ne un fine ne uno scopo che può essere paragonato a quello della ricerca di archivio, sono suggestioni, cose che mi piacciono, cose che non capisco....direi che è una costellazione, un panorama, passeggiate
11:32
Tutto è fase di ricerca
giulia paciello 11:33
sai utlimamente sono davvero stufa di vedere questa esplosione di documentazione esposta senza un vero momento di riflessione. Credo che a volte l'opera debba parlare senza conoscerne tutti i retroscena.
jacopo 11:34
infatti non uso il blog per parlare del mio lavoro, piuttosto potrei dire che uso il blog per parlare di me, come fanno i teenagers sui loro bellissimi blog
11:34
creando addirittura un loro linguaggio
11:34
invece io non sono in grado di tanta sofisticatezza
giulia paciello 11:35
credo che la ricerca e quindi il lavoro che tu fai con il blog sia interessante proprio per questo!
jacopo 11:35
vedi ritorniamo al titolo....a posteriori penso che la definizione di BALBUZIE sia dovuta al fatto che non è necessario dare delle definizioni...insomma sto balbettando
11:35
e qui scattano i paragoni con Stefano di X factor
giulia paciello 11:35
ahahaha
jacopo 11:36
anche io poi sono cosi stonato
giulia paciello 11:36
non ne parliamo....io mai stata intonata...
11:37
e il pubblico del tuo blog?
jacopo 11:37
bhe per ora ho 17 followers!
giulia paciello 11:37
predni in considerazione le loro idee e preferenze?
11:37
prendi
11:38
scusa ho la tastiera rovinata....
11:39
Rispetto al pubblico mi interesserebbe capire come ti poni.
11:39
Da quando c'è facebook e il televoto (e Berlusconi, ma non solo...) sembra che il popolo/pubblico abbia sempre ragione e che il “mi piace” sia legge inattaccabile.
11:40
se non ti va di rispondere perchè trovi la domanda troppo stupida passiamo oltre....
jacopo 11:40
allora a volte....dopo una una conversazione sul web...nascono dei post...infatti ci sono spesso dei ringraziamenti...poi per il progetto a Combo ci sarà un parte in cui chiedo direttamente a altre persone di inviarmi del materiale da postare sul blog, a cui poi risponderò con delle mie personali associazioni. Quindi in questa fase diciamo che il pubblico sarà il primo input da cui far partire delle suggestioni e poi altro pubblico potrà vederle
giulia paciello 11:40
ok
jacopo 11:41
poi se vedi da dicembre 2010 ...ho inserito anche io il televoto
giulia paciello 11:41
si
11:41
io ho votato un post
11:41
!
jacopo 11:41
puoi dire se trovi il post interessante, hot, good, bad etc...
11:41
quale quale? nessuno lo fa! sai io non sono come Maria de Filippi, non ho share…
giulia paciello 11:42
cavolo non ricordo...cmq ho votato
jacopo 11:42
quello che dicono tutti gli italiani in fase elettorale
giulia paciello 11:42
si!
jacopo 11:42
scherzo
11:43
solo una battuta acida ... che mi è scappata...scusa e non era rivolta a te, ma a gli italiani
giulia paciello 11:43
ma io sono italiana
jacopo 11:43
anche io
giulia paciello 11:43
anche se mi ricordo chi ho votato
jacopo 11:44
si infatti non era rivolto a te...spesso siamo costretti a generalizzare...errore mio!
giulia paciello 11:44
figurati
11:44
sono io che non mi ricordo quale post ho votato!!!
jacopo 11:44
bhe ma non è cosi grave....è solo un blog
giulia paciello 11:46
beh con le nostre opinioni in qualche modo creiamo sempre un giudizio....e nel caso del blog magari non è rilevante ma credo sia importante esprimersi...magari lasciando perdere i televoti...
11:46
il blog è fantastico per quello
11:46
si può dar voce alle proprie cazzate come anche alle cose serie...
jacopo 11:46
si infatti...vorrei che il mio blog fosse come quello di Denis Cooper
giulia paciello 11:46
cazzate nel senso di cose più meno seriose
jacopo 11:47
lui spende dalle 3-4 ore al giorno per rispondere a tutti i commenti, una nuova forma di letteratura
giulia paciello 11:47
in questo senso è davvero la voce dal basso
jacopo 11:47
ma non direi
11:47
cooper resta pur sempre uno scrittore di nicchia
giulia paciello 11:48
si forse mi sono espressa male...
11:49
volevo dire che spesso ho trovato note più interessanti sui blog che su siti che pretendono di essere autorevoli
jacopo 11:49
la cosa affascinante del web è che a creato un altro tipo di autorevolità rispetto alla parola scritta
11:50
e siccome 'tutti possono dire la sua'
11:50
assistiamo sempre più alla fine di ogni realtà
11:50
penso che questo sia l'aspetto che ha maggiormente a che fare tra il blog e il mio lavoro...ecco qui il segreto di pulcinella
11:51
ODDDIO ho scritto 'Ha' senza l'HHHHHHH
giulia paciello 11:51
ahhaha
jacopo 11:51
anche io ho la tastiera rotta definitivo!!!!!

giulia paciello 11:52
a me ci è caduto sopra del the zuccherato non scherzavo mica ho i tasti durissimi....
jacopo 11:52
a me è partito proprio il tasto della H, guarda un po’!
11:53
e poi ho una tastiera che scrive anche in Amarico
giulia paciello 11:53
wow
jacopo 11:53
difficilissimo
giulia paciello 11:53
senti ma ritornando alla fanzine quali artisti hanno fino ad oggi collaborato...curiosità mia?
11:53
!
jacopo 11:53
Thomas Jeppe e Sandrine Nicoletta
11:54
siamo al numero 2....con estrema velocità
giulia paciello 11:54
hai fatto l'editor prtaicamente?
11:54
praticamente
jacopo 11:54
si
giulia paciello 11:54
bello
11:55
io credo che l'editoria sia un mondo fantastico
11:55
davvero un modo efficacissimo di fare arte
jacopo 11:56
sarebbe bello aprire un dibattito su editoria e blog....ma con le nostre tastiere!!!!
giulia paciello 11:56
ahahha
11:56
si
11:57
quando tu citi il concetto di Mnemosyne Atlas e vedendo il tuo lavoro e il tuo blog. Pensando anche al lavoro che proporrai da combo mi è venuto in mente il telefilm FlashForward. Lo conosci?
jacopo 11:59
Mnemosyne...idea di Francesco...che trovo bellissima.... Flash Forward sono arrabbiatissimo con L'ABC che ha interrotto la produzione...lasciandoci cosi a bocca aperta alla fine della prima serie....che fine farà la tipa incinta che viene rapita dai cattivi???? Non lo sparemo mai!
giulia paciello 11:59
davvero anche io
11:59
arrabbiatissima
11:59
era così bello
12:00
cmq l'idea della lavagna...gli indizi...
12:00
mi ha sempre affascinato l'idea del muro dei detective
12:00
cone bandierine e post-it
12:00
etc...
jacopo 12:01
dillo a me...io tutti i mercoledi Guardo CHI L'HA VISTO?
giulia paciello 12:01
e penso che sia efficace il fatto che tu abbia deciso di allestire lo spazio di combo con i tuoi appunti come fosse un grande lavagna...
12:02
o tu non la pesni in quetsi termini?
jacopo 12:02
sssssssssshhhhhhhhhhhhh non bisogna svelare troppo
giulia paciello 12:02
ok
jacopo 12:02
scherzo eh!
giulia paciello 12:02
allora come si dice... chi vivrà vedrà!
12:03

jacopo 12:03

12:03
tranne la fine di Flashforward!!!!
giulia paciello 12:04
tranne la fien di Flashforward
jacopo 12:04
direi che adesso possiamo staccarci gli auricolari...le luci direzionali vanno via e le telecamere ruotano, ci danno le bottiglie d'acqua e ognuno ritorna nei camerini

giulia paciello 12:04
io credo di potermi ritenere soddisfatta della chiaccherata..ora vedremo come correggere i nostri errori prima di pubblicarla...tra l'altro i miei sono molti più dei tuoi...
12:05
a parte gli scherzi come pensi di fare. La stampiamo o la lasciamo così su web?
jacopo 12:06
io direi che sul web la lasciamo cosi come è.....mai avere paura degli errori...insomma come una diretta televisiva no?

Monday, March 7, 2011

A bit Hipster, but ok!




http://www.morelbooks.com/Asger_Carlsen.html

WRONG- published by Mörel Books in London
Foreword by Tim Barber

The Doctor Is In(sane) : The Questionable Reality of Asger Carlsen

What are these? They appear at first, like so many photographs do, as candid moments, mundane vernacular portraits or documents of small news events from the pages of a weekly local paper. The on-camera flash blasts in with that harsh direct light we are used to seeing in our family albums, the black and white palette inexplicably adding to their authenticity (why is that?). They are familiar, and there is nothing out of the ordinary in these photographs except everything. Are they even photographs? I think of the bumper sticker, stuck upside-down that reads "Question Reality", where the gesture itself is a visual pun of it's own sentiment. The "truth" of photographs has always been in question, but in these images, it's the un-truth you are left wondering about, like vivid hallucinations you see out of the corner of your eye. They are optical illusions in the grandest sense, doctored images with invisible scars. I can look and know that no one has two functioning wooden legs, but there he is, vacuuming the floor. There he is, stopped at a red light on his motorcycle, and I believe in him, over and over. There is a funny expression that people use online in reaction to awful or disturbing images: "Cannot Un-See!" they say in dismay. The image is burned in, the damage is done. I cannot un-see the alternate reality that Asger has created in these images. I am convinced.

- Tim Barber
NYC, March 21, 2010

Thursday, March 3, 2011

Charles Atlas


Mayonnaise Number 1, 1973-2010
Archival 16mm film transferred to digital video
colour, no sound
11:47

Mayonnaise Number 1 features the choreographer Douglas Dunn. In style and composition, the film is based on the Manet painting Boy with Cherries (1858). Dressed in classical clothing and toying with theatrical props and tropes such as red hats and bunches of grapes, Dunn languishes between poses. Casual and nonchalant, his performance looks at the notion of dance in its most minimal state- a state that clashes starkly with his ornate Renaissance-style dress. The film is in fact what Atlas refers to as the first of his ‘Face-Dances’- an experiment testing playfully what comprises a dance, which here takes the form of examining the affective charge of gesture and expression.

Wednesday, March 2, 2011

FOLD!

AFB Forum '08 - Paolo Fabbri
Martedì 17 Novembre 2009


Vorrei iniziare facendo riferimento a un libro dello storico dell’arte James Elkins, Dipinti e lacrime, storie di gente che ha pianto davanti a un quadro[1]. In questo libro Elkins affronta un tema particolare, quello di capire se in genere le persone abbiano mai pianto davanti a un quadro. Tutti noi conosciamo persone che piangono al cinema o mentre leggono un libro, ma per quanto riguarda i quadri la discussione ancora aperta. A testimonianza di questo, l'autore riporta alla fine della sua ricerca un’inchiesta molto divertente svolta su storici dell’arte, come per esempio Ernst Gombrich, ai quali viene chiesto se hanno mai pianto davanti a quadro e la risposta, generalmente, è no. Elkins, partendo proprio dalla negatività di queste risposte, propone una riflessione sulla relazione tra la percezione, la sensibilità, l’esperienza e il nostro corpo, cercando di capire se la nostra capacità di muoverci o com-muoverci sia in qualche modo possibile davanti a forme artistiche diverse. A questo proposito, una domanda che mi sembra interessante porsi è: qual è il tipo di attività sensibile, oltre che concettuale, che richiama un’opera? Questo interrogativo si sposa bene con il libro di Elkins. Un altro spunto di riflessione proposto da Elkins è quello relativo allo studio delle immagini che vengono considerate tecnicamente artistiche e quelle che, a fatica, l'autore definisce “non-arte”. Elkins parte infatti dal presupposto che anche le fotografie di carattere scientifico siano in realtà debitrici nei confronti della storia dell'arte (ad esempio, alcune foto scientifiche non sarebbero mai state tali senza l’opera dell’action-painter Jackson Pollock). Elkins, negando che esista un campo affidato alle arti e un campo affidato alle “non-arti”, estende il concetto stesso di “arte” fino alla dimensione scientifica dei saperi. In altri termini, l’idea di Elkins si avvicina al pensiero del filosofo del linguaggio Nelson Goodman, secondo il quale il problema non è “che cos’è l’arte?”, domanda ontologica cui avrebbe qualche problema a rispondere, ma, semplicemente, “quando è arte?”. La questione centrale per Goodman sta quindi nel capire in quali circostanze gli oggetti artistici possano funzionare come non-artistici e viceversa quando gli oggetti non-artistici, come ad esempio foto di scienza, possano essere definiti artistici. Si apre così uno spazio di riflessione, non ontologico ma pragmatico, ricco di “scontri” che possono capitare e che sembrano interessanti. La riflessione sulle immagini condotta da Elkins ci fornisce in ogni caso uno spunto per affrontare il tema dell'intelligenza estetica.

All’inizio del secolo scorso, il politico francese Georges Clemenceau, ha affermato l'esistenza degli intellettuali durante un feroce dibattito politico. La parola “intellettuale” da aggettivo è diventata, all’inizio del secolo scorso, un sostantivo indicante per definizione chi fa esercizio di intelligenza. L’idea che l’intellettuale sia un individuo risale quindi alla belle epoque, quando sull'affare Dreyfuss si creò un grande dibattito di carattere politico, che affrontò la problematica della figura dell’intellettuale.

Con molta probabilità, sbagliamo nell'individuare un’opposizione tra la spiegazione, che sarebbe razionale e logica, e la comprensione, attribuendo invece a quest'ultima l’intersoggettività, la sensibilità e l’affetto. Credo che sarebbe molto grave se pensassimo che da una parte ci fosse solo il comprendere, dall’altra lo spiegare, in quanto ridurremmo il “concetto” a qualche cosa che, in qualche modo, ha perduto il precetto e l’affetto. Com’è quindi possibile articolare fra loro la spiegazione e la comprensione? La mia soluzione è molto semplice, forse un po’ irritante: bisogna spiegare di più per capire di più. Un incremento della spiegazione non va a scapito della comprensione, è anzi un suo approfondimento. Se facciamo questo, ci liberiamo con un gesto di tutta una serie di opposizioni ottocentesche. Ecco il punto: è l'idea secondo cui prima c'è il comprendere e poi lo spiegare che ci impedisce di piangere davanti ai quadri!

Vorrei dare un’applicazione di ciò che affermo parlando del volto.

Attraverso il volto, indubbiamente, noi riconosciamo delle forme di sorpresa. È sufficiente prendere delle emoticons (che sono standardizzazioni di volti) per avere una tipologia di espressione, come per esempio il modo di incurvare la bocca o di alzare gli occhi, o di stringere il naso. Le emoticons sono quindi la trascrizione semplificata di un lungo sapere di tipo fisiognomico.

È anche possibile fare una correlazione tra il volto e la nostra idea tripartita di società: nella nostra società ci sono quelli che stanno sopra e che hanno il potere e l’intelligenza; ci sono poi i soldati, quelli che combattono; per finire ci sono gli agricoltori, quelli che si occupano della riproduzione. Questa tripartizione può essere applicata benissimo anche alla nostra faccia: la parte alta della faccia (la fronte etc.) è l’intelligenza, la parte bassa (denti, bocca mento) la sensualità. Poi c’è l’orecchio; quelli che hanno l’orecchio molto alto (o rivolto verso l’alto) sono intelligenti, quelli che hanno il lobo molto pesante sono agricoltori, pesanti e riproduttivi. È sufficiente quindi avere un modello molto semplice di comprensione e correlarlo a una verticalità del corpo, del viso o addirittura dei dettagli. Nel naso, per esempio, la parte più alta denota più intelligenza, la parte più carnosa più sensualità, e così via. Questa strategia di rappresentazione del volto riposa quindi su un modello che in effetti usiamo ancora.

Nel volto riconosciamo le emozioni, il volto trasmette al massimo la dimensione emozionale, riconoscibile anche negli oggetti. Spesso le barche hanno degli “occhioni”, così come le automobili: tutte le cose prendono una faccia. Se ciò che ci sta davanti ha un certo tipo di movimento, automaticamente gli si da una faccia, una inter-faccia necessaria. Come è vero, quindi, che il volto sta in un corpo, è altrettanto vero che i corpi stanno fra i corpi e che quindi l’intelligenza è un interligere, intelligere, ovvero è un “capire insieme”, come d'altra parte “discutere” vuol dire scuotere insieme qualche cosa. L’idea del volto ha un problema preciso: il volto è un pezzo della testa, a cui è stata delegata una serie di funzioni. All’inizio del Novecento, una delle prime cose che sono state fatte è stata quella di liberarsi del volto: tutte le teste sono diventate solo teste, senza faccia. La testa ha ripreso il posto dei volti. Vorrei fosse possibile immaginare il contrario dicendo, per esempio, che tutto il corpo possa essere volto, divenendo così espressivo.

Allora, che cos’è il volto? Francamente è il senso comune, ma anche l’ordine imposto al viso. Il volto è un ordine di lettura, ha un aspetto normativo nella sua imposizione. A scuola, per esempio, si insegna a tenere la faccia, non a tirar fuori la lingua o a strizzare gli occhi. Il volto è un luogo altamente educato, quindi l’arte ha anche la funzione, non solo di rappresentarlo, ma di liberarlo. La deformazione dei volti, che la storia dell’arte definisce la caricatura, è uno dei luoghi più appassionanti della storia dell’arte. Non a caso, Gombrich, che ho citato prima, come anche Werner Hofmann, un altro grande studioso tedesco, hanno scritto moltissimo sul volto e sulla caricatura. La caricatura è un luogo dove si esprime tutta la libertà ironica rispetto al volto. Il filosofo francese Gilles Deleuze, che ha prodotto il “Diagramma di Foucault”, ha detto una cosa molto curiosa: “Cos’è il tic? Una deformazione del volto[2]”. Gli artisti, i ballerini, il teatro giapponese con la rivoluzione degli occhi, la danza indiana Kathakali con le sue le modifiche straordinarie del viso: tutte queste espressioni artistiche hanno sempre lavorato a liberare il volto dall’ordine del luogo comune. Riconducendoci a Deleuze possiamo considerare un tic come un tentativo di liberarsi dall’ordine del viso. In realtà il filosofo francese è più sottile e definisce il tic come il “bloccaggio di questa libertà”, ci sono momenti quindi in cui il volto vuole liberarsi dal suo ordine, solo che, in quel momento, l’ordine ritorna. Nello scrivere un libro sul filosofo francese Michel Foucault, Deleuze ha scritto: “Qual è la sua teoria della percezione? Quella che consente esattamente la problematica del mondo sensibile[3]”. Deleuze, ha disegnato di sua mano, assieme a sua moglie, Fanny Deleuze, il citato diagramma di Foucault, che lui chiama esplicitamente “diagramma” a partire dalle teorie semiotiche di Charles Sanders Peirce, e ha detto: “Ecco il modello percettivo di Foucault”.




Il diagramma rappresenta il modo in cui, secondo Deleuze, funziona l’organizzazione di un’intelligenza e di un sapere che tiene conto della percezione.

Immagine1

1 – Linea del fuori 2 – Zona Strategica 3 - Archivio 4 - Piega

Gli eventi riportati in alto nel diagramma sono delle singolarità, sono gli eventi che accadono e che devono entrare dentro di noi. La grande linea in alto che mostra alcuni punti, è quella che separa la percezione, l’esterno del mondo, dal suo interno. Perché è una linea? Perché come tutte le linee ha due facce; per quanto sottile la possiamo disegnare, su questa linea c’è il luogo di quel fuori che diventa dentro e di quel dentro che è ancora fuori. Noi siamo parte del mondo e il mondo è parte di noi. La percezione è, in qualche modo, uno scambio mutuo, un' idea vecchia della fenomenologia classica. Questi piccoli eventi singolari sono inseriti in quello che Deleuze chiama la “zona strategica”, è la zona degli interessi, delle curiosità, delle passioni che riorganizzano quest’esperienza in funzione di problemi anche di potere. Per Deleuze, quindi, questa è la zona del potere, che è quello che organizza, in funzione di bisogni, necessità, curiosità e desideri la percezione esterna. I due rettangoli a destra e a sinistra sono quello che lui chiama “l’archivio audiovisivo”: questi elementi, queste singolarità, si integrano dentro i nostri saperi, diventano, per esempio, le nostre enciclopedie. Queste sono zone enciclopediche. Colgo l'occasione per ricordare una cosa interessante: l’enciclopedia è seducente perché è un anti-trattato, un dizionario organizzato secondo quell'arbitrario affascinante che sono le lettere alfabetiche. In Cina, per esempio, durante le Olimpiadi, i diversi Paesi erano completamente rovesciati rispetto alle nostre attese, perché evidentemente in Cina l’ordine alfabetico è completamente diverso, quindi l’Albania non era affatto prima, e l’Italia non stava in mezzo, gli USA non erano in fondo. L' “archivio audiovisivo” è mediato da questa strana forma che somiglia moltissimo a un’impronta digitale. Le impronte digitali, infatti, sono tutte fatte di pieghe, in cui la cosa più lontana, cioè l’estremo di un elemento, diventa la più vicina; quando si prende per esempio una retta e la si piega, il massimo lontano viene ravvicinato e la piega rappresenta, senza confusione, la possibilità di portare il lontano al massimo della vicinanza. Il quadro rappresentato nel diagramma è la zona di soggettivazione, la soggettività, il luogo della percezione dove si instaura un soggetto. Un soggetto, dice Foucault, è una piega. Un soggetto è un luogo di piega. Il mondo entra nel nostro mondo percettivo attraverso questa piega esterna-interna in cui la soggettività, che è la sola che può mediare tra il visibile e il dicibile, si articola in forma di piega ed è la sola che è in grado di ravvicinarli.

Per concludere vorrei semplicemente affermare che i filosofi, quelli che hanno un pensiero cosiddetto “concettuale” e non “percettivo”, non sono affatto delle persone astratte. Questo diagramma non è un’astrazione, in quanto esiste una dimensione molto concreta, che è quella della sua realizzazione. Penso che se ne potrebbe fare un oggetto per studenti. Tutti noi ci dimentichiamo alcune cose: che i concetti sono fatti, costruiti; che ci sono delle immagini di pensiero; che ci sono dei personaggi di pensiero; che i concetti riposano su di un piano di consistenza. Le immagini di pensiero hanno un piano di consistenza abitata da concetti, e i concetti sono piccole macchine, macchine funzionanti, oggetti articolati.

[1] Elkins J., Dipinti e lacrime, storie di gente che ha pianto davanti a un quadro, Bruno Mondatori [2007].

[2] G.Deleuze, F. Guattari, Millepiani, Castelvecchi [2003].

[3] G. Deleuze, Foucault, Cronopio [2002].

Tuesday, March 1, 2011

Post Autonomy

Post Autonomy websites

List of sites linked to the Post Autonomy project

In order to reflect the complexity of the PA project and the extent of its application in todays art world, we are in the process of expanding the site, so that individual projects will have their own site's

http://www.postautonomytoday.co.uk

Fixed site

http://temporarypostautonomysite.blogspot.com
http://www.postautonomyresonance.blogspot.com
Syndicate
Syndicate content
Tagged:

* Discuss Post Autonomy
* Lecture
* Organising pa

David Goldenberg

is a London based independent artist, curator and writer

Goldenberg’s Material can be found in the Thames and Hudson books "Installation art" and “New media in late 20th century art" .

Most most recently he initiated a movement called Post Autonomy. A central part of Post Autonomy is the Post Autonomy website, which functions as a research instrument into the concept of Post Autonomy. Post Autonomy reflects the state of contemporary art. A meeting place and hub for discussion and exchange about ideas that extend the understanding of Post Autonomy. Post Autonomy stems from the idea that modern art, as a researchor understanding of autonomy, has reached its limits in comprehending autonomy. In that respect art can be seen to have exited autonomy. What comes after Autonomy in art can be discussed by Post Autonomy. Using a practice-orientated analysis of cultural, social, and political forces the aim is to develop a new mental framework out of which art can be reinvented. http://www.postautonomy.co.uk

Friday, February 25, 2011

Work and No Play





A pivotal scene in the shining, Stanley Kubrick's classic film adaptation of the Steven King novel, occurs when Wendy, the wife of the protagonist Jack Torrance, enters the enormous reception hall in the isolated mountain hotel where her husband has been obsessively typing away on his "novel". Previously barred from the space by the increasingly unstable Jack, Wendy nervously goes to his typewriter and finds on its roller a sheet of paper on which the message "All work and no play makes Jack a dull boy" has been typed over and over again. Frantic, she turns to the thick stack of pages neatly piled nearby, where she finds the exact same phrase on the top dozen or so pages she rifles through before being interrupted by Jack. The manuscript, which she has imagined would be a sign of her husband's artistic achievement, is revealed instead as an undeniable symbol of his descent into madness.
Never one to stint on artistic integrity and veracity, Kubrick used no shortcuts for the relatively simple scene. As artists Adam Broomberg and Oliver Chanarin discovered during recent research in to the Kubrick archives in London, instead of having the sentence typed on the few sheets seen by viewers, the director asked his secretary Margaret Warrington to type it on each one of the 500-odd sheets in the stack. What's more, he also had Warrington type up an equivalent number of manuscript pages in four languages- French, German, Italian, Spanish- for foreign release of the film. For these, he used idiomatic phrases with vaguely similar meanings:

"Un Tiens vaut mieux que duex Tu l'auras." translates as A bird in the hand is worth two in the bush. "Was du heute kannst besorgen, das verschibe nicht aur morge" translates as Don't put off until tomorrow what you can do today. "ll mattino ha l'oro in bocca" translates as The early bird gets the worm. "No pormucho madrugar amanece mas temprano" translates as Even if you rise early, dawn will not come any sooner.

Adam Broomberg & Oliver Chanarin





PEOPLE IN TROUBLE LAUGHING PUSHED TO THE GROUND

People in trouble laughing pushed to the ground. Soldiers leaning, pointing, reaching. Woman sweeping. Balloons escaping. Coffin descending. Boys standing. Grieving. Chair balancing. Children smoking. Embracing. Creatures barking. Cars burning. Helicopters hovering. Faces. Human figures. Shapes. Birds. Structures left standing and falling...

The Belfast Exposed Archive occupies a small room on the first floor at 23 Donegal Street and contains over 14,000 black-and-white contact sheets, documenting the Troubles in Northern Ireland. These are photographs taken by professional photo-journalists and ‘civilian’ photographers, chronicling protests, funerals and acts of terrorism as well as the more ordinary stuff of life: drinking tea; kissing girls; watching trains.

Belfast Exposed was founded in 1983 as a response to concern over the careful control of images depicting British military activity during the Troubles. Whenever an image in this archive was chosen, approved or selected, a blue, red or yellow dot was placed on the surface of the contact sheet as a marker. The position of the dots provided us with a code; a set of instructions for how to frame the photographs in this book. Each of the circular photographs shown on the previous pages reveals the area beneath these circular stickers; the part of each image that has been obscured from view the moment it was selected. Each of these fragments – composed by the random gesture of the archivist - offers up a self-contained universe all of its own; a small moment of desire or frustration or thwarted communication that is re-animated here after many years in darkness.

The marks on the surface of the contact strips – across the image itself – allude to the presence of many visitors. These include successive archivists, who have ordered, catalogued and re-catalogued this jumble of images. For many years the archive was also made available to members of the public, and sometimes they would deface their own image with a marker pen, ink or scissors. So, in addition to the marks made by generations of archivists, photo editors, legal aides and activists, the traces of these very personal obliterations are also visible. They are the gestures of those who wished to remain anonymous.

We would like to acknowledge and thank the original photographers Mervyn Smith, Sean Mc Kernan, Gerry Casey, Seamus Loughran and all other contributing photographers to Belfast Exposed’s archive.

Sarah Pucci


Au milieu du pays des braillards, anthropophages, remords, du trafic, fer, caoutchouc, des merdes de chiens, des gueulards, joueurs de cornemuse, râleurs, dégueuleurs, soldats, anthropophages, fonctionnaires, hommes politiques, saucisses, du ciment, du petit ménage, de la cochonnerie, de la saloperie, de l’abattage, du zèle, du devoir, des artistes, de l’insolence, des étudiants, de la nausée, du vomissement, de l’anthropophagie, des petits vols, du deuil, de l’achat, de la dérive dans le cloaque et de l’anthropophagie, SARAH PUCCI montre l’essence des balles, le balancement, chatouillement, miroitement, chatouillement, bourdonnement, ballottement, tintillement, le dodu, clair, doux et pourtant tendu, tissant planant, scintillant, la patience et ses fruits qui sautillent et grisollent, chatouillent, froufroutent, éventent, embrassent, viennent, désirent, partent, gigotent, sourient, aspirent, clignent des yeux, happent, gloussent, chatouillent, étincellent, rient haut et bas, frétillent, babillent, chatouillent et sourient, trépignent, fredonnent, grimpent, font de la voile, escaladent, papillonnent, ricanent, chatouillent et tremblent.

Et je me demande, comment est-ce possible de faire pousser dans ses mains ces balles merveilleuses, comme SARAH PUCCI sait le faire, de telle sorte qu’elles tremblent et chatouillent, ricanent, papillonnent, escaladent, font de la voile, grimpent, fredonnent, trépignent, sourient et chatouillent, babillent, frétillent, rient bas et haut, étincellent, chatouillent, gloussent, happent, clignent des yeux, aspirent, sourient, gigotent, partent, désirent, viennent, embrassent, éventent, froufroutent, chatouillent, grisollent et sautillent, les fruits de la patience, scintillant, planant tissant, tendu et pourtant doux, clair, avec le dodu, tintillement, ballottement, bourdonnement, chatouillement, miroitement, chatouillement, balancement dans leur essence? Comment peut-elle tous les laisser pousser de façon si merveilleuse, là-bas, de l’autre côté, derrière la mer, au pays des anthropophages, dériveurs dans le cloaque, acheteurs, du deuil, des petits voleurs, des anthropophages, de la grande nausée, des étudiants, de l’insolence des artistes, du devoir, du zèle, de l’abattage, de la saloperie, de la cochonnerie, du petit ménage, du ciment, des saucisses, hommes politiques, fonctionnaires, anthropophages, soldats, dégueuleurs, râleurs, joueurs de cornemuse, gueulards, des merdes de chiens, du caoutchouc, fer, trafic, des remords, anthropophages, braillards et cannibales ?

Dieter Roth
Stuttgart, 14.6.73
Traduction: Catherine Laubier avec l’aimable autorisation de Björn Roth et Dorothy Iannone.

http://www.airdeparis.com/

A zealous repetition of daily practice has produced the bejeweled objects of the late Sarah Pucci, mother of Dorothy Iannone. These intense, compacted works, were made throughout the second half of the 20th century and regularly sent to her daughter who was living in Europe, as tokens of devotion. They scintillate an aura of idealistic beauty on steroids that grows into a delicate grotesque.

Monday, February 21, 2011

WBM


ildBookMarket – WildeBoekenMarkt 2011
At the WildBookMarket (WBM), national and international artists and publishers will be presenting their remarkable art books published between 2007-2011. WBM is the ideal opportunity to explore, buy or exchange art(ists) books. This year WBM will be focussing on the phenomenon of the monograph.

WBM 2011 includes 20 exhibitors and over a 100 individual entries. The entries come from many countries in Europe, and one from the USA. Most publications were released in 2010, but some are even fresh off the press!
On 11 February the WBM 2011 catalog (€8,-) will be presented.

On Saturday February 12, from 10.00 to 17.00h, there will be Open Studios at HWW.
For updates / programme: please visit www.hetwildeweten.nl

stands:
APE (Art Paper Editions), De Nieuwe Toneelbibliotheek, Drukkerij Slinger, Foam, Fw-photography, Jan van Eyck Academie, Knust / Nijmeegse Universele, Motto, Office for Contemporary Art Norway, O.K. PARKING, post editions, Roma Publications, Shashin, Stickit, TENT, The Soon Institute Publishing House, Timmer Art Books, Elisabeth Tonnard, Tukker & Everwijn Instituut, WORM.shop, Zone 5300

boeken van / books of:
75B, Michael Anhalt, Xacier Antin, Karin Arink, Annette Behrens , Caterina Benvegnù + Ana, María Bresciani, Judith van den Berg, Marc Bijl, Karianne Bueno, Michael Burger, Jan-Dirk van den Burg, Sophie Calle, Sarah Carlier, Joao Carrilho, Antonio Cataldo, Chinese European Art Center, Rafaela Drazic, Van Drimmelen & Griffioen, Gilbert van Drunen, Constance van Duinen, Diana Duta, Annemiek Fanoy, Wapke Feenstra, F. Franciscus, Galerie10m, Marielle van Genderen, Bertus Gerssen, Vesko Gösel, Timo van Grinsven, Gummbah + Chantal Rens, Frank Halmans, Maria Hees, Roos Hoffmann, Leah Holscher, Jan Huijben, I am YOUR FAVOURITE DESIGNER, Inti Guerrero, Yota Ioannidou, KINGS, Esther Kokmeijer, Gerben Kolkena, Kristiina Koskentola , Raoul Kramer, Dico Kruijsse, Anouk Kruithof, Jeroen Kuster, Mariëtte Linders, Katharina D. Martin, Shar McLeod, Rop van Mierlo, Jacopo Miliani, Christina Mitrentse, Antoinette Nausikaa, Carme Nogueira, Office for Contemporary Art Norway , Konsta Ojala, Oldschool,Ted Oonk, Jannemieke Oostra, Miguel Palma, Antje Peters, Antje Peters / Oliver Helfrich, Adriaan van der Ploeg, Point Never, Marisa Rappard, Chantal Rens, Gyz La Rivière, Roomservice, Nina Roos, Kathelijne Roosen, Alexandra Roozen, Charlotte Schleiffert, Ina Marie Schmidt, Jack Segbars, The Session, Marleen Sleeuwits, Jos van der Sommen, Jonas Staal, Femke van der Stoep, Tineke Storteboom, Yee Lee Tang, Koen Taselaar, Steini Thorsson, Uncanny Editions, Petra Valdimarsdóttir, Reinaart Vanhoe, Kamiel Verschuren, Karine Versluis, Heidi Vogels, Caroline Waltman, Mariken Wessels, Christiaan Wikkerink, Het Wilde Weten, Hans Wilschut, Pieter Wisse, xabilin, Weronika Zielinska
updates follow

Sunday, February 6, 2011

AGAINST NATURE


http://books.google.it/books?id=FFwOGTzpIA0C&pg=PA109&lpg=PA109&dq=Against+Nature:+A+Show+by+Homosexual+Men,+LACE+%281988%29&source=bl&ots=BmSDmquhc7&sig=KRIIX_oXqlTG-ngWzBhdS3qqctU&hl=it&ei=TvFOTeGHAoSWOoOUnEI&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=10&ved=0CGQQ6AEwCQ#v=onepage&q=Against%20Nature%3A%20A%20Show%20by%20Homosexual%20Men%2C%20LACE%20%281988%29&f=false

Wednesday, February 2, 2011

Paul Pfeiffer


INTERVIEW
Paul Pfeiffer: Accessing Other Dimensions
By Brian Curtin

Born in Honolulu, Hawaii, and raised in the Philippines, New York-based artist Paul Pfeiffer is known for his interest in the spectacle of mass-media imagery, which he manipulates to create hypnotic videos and digital prints. Pfeiffer has had major solo exhibitions at K21 in Düsseldorf, Germany, in 2004 and at the Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León, Spain, in 2008. Pfeiffer was commissioned in 2007 by the London-based nonprofit Artangel to memorialize the famous football arena Wembley Stadium with the installation “The Saints.” The piece shows a lone player from archival footage of the 1966 World Cup Final between West Germany and England, overlaid with a chorus of chanting that Pfeiffer recorded in the Philippines. His ongoing series “The Four Horsemen of the Apocalypse” (2000– ) includes portraits of basketball players leaping into the air without the ball, the basket or any surrounding players—all of which Pfeiffer digitally erased. At the risk of reproducing mass-media’s effects rather than critiquing them, Pfeiffer’s use of sports imagery appears to exploit the heroic and seductive qualities of professional athletics’ visual rhetoric. But the artist’s reckoning with powerful images that often blind viewers to critical insight is more radical than it at first appears. Pfeiffer was recently in Bangkok and spoke with ArtAsiaPacific contributor Brian Curtin about his disconcerting digital interventions.

The so-called Pictures Generation—Richard Prince, Cindy Sherman, Robert Longo and others—who returned to representational imagery in the late 1970s, often via appropriation, after a decade of minimal and conceptual art, are a precedent for your practice in terms of their appropriation of mass-media images. How do you understand their influence, particularly as a critique of media?

I feel a connection to the work of the Pictures artists. We have a shared interest in common, everyday images and how they shape reality. But I understand this shared interest as something more than media critique. There’s an uncanny emptiness lurking beneath the surface of every glossy image. For me, the legacy of the Pictures Generation is a desire to disrupt the surface illusion of reality and to access another dimension. In the work of Richard Prince I read a desire to break through the insulating and dulling effects of images, as though he’s trying to expose a traumatic reality hidden underneath. Here I’m specifically thinking of the re-photographed Marlboro ads and the sunset photos, in which you can’t tell if the people frolicking in the water are laughing and having fun or screaming because they’re getting fried by the sun.

There’s a deep fascination with images in your work, and I am interested in the implications of the pleasure of the image. Would you discuss this disruption or breaking through in relation to your engagement with the material aspect of images?

I have a background as a printmaker. It would be interesting to look at the history of printmaking as a kind of analog precursor to the digital imaging tools and processes we take for granted today. But media images don’t have a material aspect separate from their semiotic dimension; their form and meaning go hand in hand. In fact, I like the idea of accessing the one through the other, a kind of synesthesia. Richard Prince had a stylistic preference for the minimal, visually terse, even anti-aesthetic gesture. But this was the late 1970s and early 1980s, a far cry from the pluralistic aesthetic landscape we work in today. Compared to the artists of the Pictures Generation, artists like me might appear more comfortable playing with the material aspects of media images, even fascinated with them, for example, taking a painterly approach to editing and compositing video footage. But then again, compared with the minimalists and conceptual artists of the time, the original appropriation artists probably appeared indulgent in regards to the pleasures of the image.

Broadly speaking, you are consistently concerned with issues of race and visual representation, from your early use of sports imagery to Live From Neverland (2006), where you used footage of pop singer Michael Jackson’s public denial of child abuse charges.

As far as art-making goes, race, like religion, or like Jackson himself, is a way into people’s psyches. Race itself is not so interesting. Sure it’s part of the picture, but it’s just one dimension. Ideally, I want my work to oscillate between different readings.

Live From Neverland achieves this ideal as the imagery is deeply seductive and employs a plethora of references. How did you come to make this work?

Live From Neverland is part of my ongoing series of works with found footage, a recreation of a public statement Michael Jackson read on television around the world in 1993. I chose the footage less for the content of the speech and more for the global recognition factor. This televisual image of Jackson is also just a visually arresting image with a dream-like quality to it, thanks to the saturated colors and the shocking whiteness of his face. There’s an artificial quality to Jackson’s delivery as well. He looks earnestly into the camera as it zooms to a close-up. The scene seems staged and affected. This footage is paired with a second video image showing a chorus of 80 men and women performing Jackson’s monologue in unison. In fact, it’s a group of college students at Silliman University, the historic seat of American education in the Philippines, whom I hired. I slowed down the Jackson footage, synching the movement of his mouth to match the measured pace of the chorus. In the resulting slow motion image, Jackson appears to be struggling to speak, as though he’s stuck in some viscous medium and can barely move.

And what about the narrative of child abuse charges?

I’m interested in the relationship between the individual and the crowd in the spectacle of Michael Jackson’s arrest. Jackson starts out as an exquisite object of mass devotion. His fans scream and faint when he appears on stage. Everyone wants a piece of him. But despite his stardom, you get a sense that his free will diminishes as his audience grows increasingly obsessed with gaining access to his private life. In the end he seems trapped, powerless to express the truth about himself, a projection screen for the desires and fears of the mob. His predicament relates to everyone living in our media-saturated culture. That’s my real interest in playing with the footage and trying to make something out of it.

Can you extrapolate this insight as a central concern of your work?

You mean, mass media imagery is “merely” an object of projection, and therefore not a vehicle for truth, as such? Would you like to make some general comments on this idea? Everyone knows that media images often lie. But that doesn’t diminish their power to grab our attention and exert an influence on our lives. In the end, the deep connection between images and people is a mystery to me. I think of Live From Neverland as an attempt to represent an enigma rather than to provide answers or defend a critical position on media culture.

http://angelfloresjr.multiply.com