Sunday, April 4, 2010




Long before the body-art practices of the 1960s and ’70s, Carol Rama was confronting the physicality, sexuality and limits of the body in her charged watercolours and drawings. Her erotic representations typically depict women in states that veer between pain and pleasure, juxtaposed with prosthetic parts – both painted and real in her bricolage works from the 1940s – and symbols of ill health or deformity that coalesce to reveal a fragile body that is at once subject and object.

«Chi conosce Carol, chi conosce il suo linguaggio quotidiano, sa che c’è una frase ricorrente, che le è particolarmente cara: “fa vissuto”. E’ un’espressione che si applica a qualsiasi oggetto che rechi il segno del tempo, che confessi il suo essere usato. E’ un modo di dire, in particolare, che affettuosamente interviene per consolare dell’irreparabile incrinatura subita da un piatto, dalla chiazza inestirpabile che ha contaminato un mobile, un abito. Ma non è una locuzione esclusivamente confortatrice. Dice, prevalentemente, il profondo orrore di Carol per tutto ciò che non possiede – o non suggerisce almeno di possedere – un suo passato, una sua storia. E dice che il passato è, per necessità, logoramento e corruzione, portati sino al punto in cui l’uso si rovescia nel suo contrario. Così, per contro, ogni oggetto nasce con un suo irritante dono di innocenza originale, che è doveroso cancellare con premura: occorre che il segno dell’uso lo incida – e lo guasti e sfiguri, se occorre – affinché emerga al più presto l’indizio corrompitore, ma finalmente vitale, appunto del vissuto.»
da: Edoardo Sanguineti, in Carolrama, Galleria La Bussola, Torino, 1971

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